L’ernia del disco lombare si verifica 15 volte più spesso rispetto a quelle cervicali (a livello del collo), ed è una delle più comuni cause di dolore lombare.
Il disco intervertebrale funge da ammortizzatore tra i due corpi vertebrali tra cui è posto. Con il passare degli anni le strutture che lo contengono si logorano, ed in seguito a sforzi, movimenti inappropriati Il disco può sporgere dal margine vertebrale schiacciando la radice nervosa provocando dolore, spesso la sciatica.
Spesso il disco ernia ai lati del legamento longitudinale posteriore (punto in cui l’ernia incontra minore resistenza) che è anche la zona prossima alla radice nervosa. Gli spazi L4-L5 ed L5-S1 (L sta per lombare e S per Sacrale) sono interessati nel 96% con una quota rispettiva del 44 e 51%. Segue lo spazio L3-L4 col 5% circa.
Il livello L4-L5 interessa la radice di L5, L5-S1 interessa S1. L’ ernia rimane di solito contenuta negli involucri naturali del disco (anulus), altre volte viene espulsae nel 71% dei casi migra verso il basso.
Sintomi Principali dell’Ernia del Disco Lombare
Solitamente si manifesta in due tempi successivi: dolore lombare o lombalgia (“mal di schiena”) cui col tempo si associa la sciatica, o dolore lungo la faccia posteriore dell’arto inferiore, fino alla pianta o al dorso del piede. Il dolore alla schiena all’esordio può essere improvviso e violento, tanto da meritarsi il nome di “colpo della strega”. Altre volte a questo caratteristico dolore si associa un grave deficit motorio, realizzando quella che viene chiamata “sciatica paralizzante”.
- Il colpo della strega
Indica un dolore localizzato alla schiena improvviso e violento, che “blocca” il paziente in flessione. La lombalgia spesso precede la sciatica, ma quando compare il dolore lungo la gamba, questo può prevalere sulla lombalgia, ed essere il sintomo rilevante. - La Sciatica
L’ernia del disco si manifesta spesso con la sciatica, ovvero con dolore lungo la gamba (vedi la figura di fianco). Il dolore è dovuto alla sofferenza della radice nervosa all’origine del nervo
sciatico, che viene compressa dall’ernia. Si tratta della radice di L5 o
dermatomeri
S1, con prevalenza dei sintomi verso il dorso (L5), o il malleolo esterno e la pianta del piede (S1). La cruralgia è indice invece della compressione di L4, ed il dolore è localizzato nella parte anteriore della coscia.
Il dolore è accentuato dai movimenti della schiena, da posizioni protratte (lunga permanenza in piedi o in posizione seduta), da tosse, starnuto e defecazione. Al contrario flettere le gambe attenua il dolore. - Altri sintomi
Al dolore si associano parestesie (formicolii) e deficit sensitivi (46%), alterazioni dei riflessi tendinei (50%) ed ipostenia o riduzione della forza (29%) che riguarda soprattutto i movimenti del piede e può essere verificata sollevandosi sui talloni o sulle puntedei piedi.
Nel primo caso indica un deficit motorio dovuto ad un’ernia l4-L5, nel secondo caso un deficit dovuto ad un’ernia L5-S1).
Molto raramente l’ ernia si manifesta con la sindrome della “cauda equina” con difficoltà nel controllo delle urine e delle feci, oltre che deficit della forza degli arti inferiori, specie nei movimenti del piede.
TERAPIE
La terapia conservativa
Il trattamento deve sempre essere in primo istanza conservativo. Si ricorre per questo all’uso di antinfiammatori (FANS e cortisonici) ed antidolorifici, ed il riposo a letto per qualche giorno in modo da evitare sollecitazioni meccaniche sulla colonna.
Superata la fase algica, è opportuno rinforzare i muscoli addominali e para-vertebrali così da dare maggiore solidità alla colonna e ridurre le sollecitazioni meccaniche sulla radice. Tuttavia in presenza di un’ernia voluminosa, in un paziente con un canale midollare stretto, le probabilità di successo della terapia conservativa sono molto limitate.
La terapia chirurgica
Attualmente il chirurgo ha diverse opzioni, grazie all’introduzione di nuovi materiali, di nuove tecniche e di nuovi strumenti che permettono un risultato migliore soprattutto sul lungo periodo.
L’ ernia del disco viene rimossa per via interlaminare.
In linea di massima il rispetto delle condizioni anatomiche aiuta a prevenire la fibrosi, ma una decompressione radicolare insufficiente non permette di centrare pienamente l’obiettivo terapeutico.
Viene esuguito un intervento di microchirurgia, con l’utilizzo del microscopio operatore, che permette di ingrandire tutte le strutture coinvolte, consentendo al chirurgo di essere più delicato nei movimenti e di operare in spazi ridotti. L’incisione cutanea è di 3-5 cm, ma soprattutto l’area esposta intorno alla radice nervosa è di pochi millimetri, quindi con una cicatrice post operatoria minima nella zona “sensibile”, specie se viene rispettato il grasso periradicolare, peridurale ed il legamento giallo.
La percentuale di “successo” con questa metodica è superiore al 95%.
L’endoscopia permette un accesso ancora più ridotto, ma non consente la visione tridimensionale e risulta più difficile la rimozione delle parti ossee e legamentose, quando queste, in individui non più giovani, contribuiscano al conflitto con la radice nervose. Recentemente sono state introdotte nuove metodiche ancora meno invasive come la nucleo lisi e d altre tecniche simili, con approccio percutaneo, inizialmente salutate con entusiasmo, che adesso si è notevolmente affievolito. Infatti queste tecniche possono essere gravate da complicanze anche molto gravi, ma soprattutto possono e devono essere applicate a pazienti estremamente selezionati per poter avere dei reali benefici. Queste tecniche infatti non permettono di trattare la patologia discale nella sua complessità, non intervenendo in correzione dell’instabilità vertebrale, spesso presente e non permettono la minima rimozione delle parti ossee e legamentose, quando queste, in individui non più giovani, contribuiscano al conflitto con la radice nervose.
È molto importante notare come la patologia discale non sia una semplice protrusione del disco che comprime le strutture nervose. Infatti spesso dietro un’ernia si cela una instabilità vertebrale, dovuta alla degenerazione senile di una struttura estremamente complessa dal punto di vista biomeccanico, quale la colonna vertebrale.
L’instabilità vertebrale costituisce quindi un’mportante componente causale dell’erniazione del disco intervetebrale. Per intervenire a questo livello, sono oggi disponibili materiali protesici di ultima generazione.
È possibile fare uso di distanziatori interspinosi (che distraendo le apofisi spinose, aumntano lo spazio intersomatico, riducendo la compressione del disco), protesi mobili intersomatiche (che sostanzialmente sostituiscono la funzione del disco intervetebraleasprtato), viti transpedulcolari. L’uso di questi dispositivi è osteggiato da alcuni colleghi che temono una eventuale dislocazione dei distanziatori. Eventualità che si è dimostrata in realtà molto rara a fronte di un notevole miglioramento del risultato chirurgico, specie nel lungo periodo.
IMPORTANTE
Visto il ventaglio di opzioni terapeutiche attualmente a disposizione del medico, un buon chirurgo, capace di padroneggiare vari tipi di apparecchi protesici, deve scegliere i materiali e l’approccio migliore per ciascun paziente e non applicare lo stesso protocollo chirurgico, la stessa tecnica, gli stessi materiali a tutti i pazienti indistintamente.
Risultati
Il dolore radicolare scompare subito dopo l’intervento. La regressione degli altri sintomi avviene con gradualità: prima scompaiono le parestesie e ritorna la sensibilità, poi migliorano i riflessi e da ultimo la motilità (anche più di sei mesi). I risultati statistici indicano la scomparsa del dolore radicolare in più dell’ 82% dei casi, mentre il dolore lombare ne risente meno favorevolmente.
Il recupero motorio è in genere buono (80%). I riflessi tendinei, se assenti preoperatoriamente, ricompaiono solo nel 40% dei casi. La persistenza del dolore subito dopo l’intervento indica una decompressione radicolare insufficiente; viceversa la comparsa del dolore a 3-5 giorni dell’intervento è in genere dovuta ad una temporanea riaccensione del processo infiammatorio conseguente all’intervento e regredisce con terapia cortisonica.
Complicanze chirurgiche
- le infezioni della ferita, <1% di disciti ed ascessi epidurali;
- un aumento del deficit motorio, eventualmente transitorio (3%);
- la rottura del sacco durale (5%) con uno 0,3% di pseudomeningocele.
- Rarissime ma estremamente gravi sono le lesioni vascolari da sfondamento anteriore dello spazio discale.
NUOVE TRCNICHE
Approccio combinato antero-posteriore “360° per le ernie voluminose e\o recidivanti
L’importante sfida che si profila nella patologia degenerativa discale lombare è quella di evitare la recidiva dell’ernia. Le modalità di trattamento di tale patologia si avvagono di due differenti procedure, la prima meno invasiva si caratterizza per l’asportazione esclusiva del frammento erniario lasciando intergo un disco che integro non è più; il secondo tipo di procedura consiste nell’asportazione più radicale possibile della parte centrale del disco (nucleo polposo). Ciò fa in modo di ridurre drasticamente l’altezza del disco. Da studi recenti si evince che il 20% dei pazienti trattati con la procedura di semplice frammentectomia (asportazione del frammento erniario) si ripresentano nell’arco di due anni presso un centro di chirurgia spinale per la recidiva dell’ernia del disco, mentre circa il 45% dei pazienti sottoposti a rimozione quasi totale del disco sviluppano una instabilità (iatrogena) che richiede nella maggior parte dei casi un intervento di stabilizzazione con viti peduncolari e barre. In considerazione di ciò per le ernie più voluminose o che presentano un notevole abbattimento dello spessore discale si è sviluppata la moderna tecnica unilaterale per via posteriore di doppia fusione anteriore e posteriore. I vantaggi di questa nuova metodica stanno nel fatto che il disco viene totalmente sostituito mediante una protesi di fusione intersomatica che ristabilisce una ottimale sagittal-balance riconferendo una fisiologica riapertura dei forami di coniugazione bilateralemente, decomprimendo le radici nervose del livello. La tecnica di fusione per via posteriore (PLIF; TLIF) è ormai di gran lunga preferita da vari autori perchè oltre ad essere una via più familiare per i chirurghi spinali, presenta minori complicazioni rispetto all’approccio anteriore (ALIF) e favorisce la dimissione dei pazienti al secondo giorno post-operatorio. Con l’utilizzo dei dispositivi interspinosi a fusione si evita l’utilizzo dell’indaginoso strumentario con viti peduncolari e barre che in queste circostanze non è assolutamente necessario, evitando così le note complicanze che compartano il loro utilizzo (maggior rischio di fistola liquorale, di danno delle radici, di neccessità di ulteriore reintervento correttivo..).
Caso Clinico Esemplificativo N° 1
Caso Clinico Esemplificativo N° 2
Caso Clinico Esemplificativo N° 3